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Tommasina Giuliasi

ARTISTA DEL GIORNO | 24.01.2024

<< Il trittico “Vai pure” racconta la fine di un rapporto d’amore sognato, scritto e descritto, ma che non è riuscito a stare al mondo.
E’ nella forma scritta che gli amanti esistono e plasmano il loro amore: scrivono della persona amata, ma non alla persona amata. Appaiono forme sbiadite di un ricordo che non ha memoria perché non ha vissuto nella realtà. In questa rievocazione del cuore, arriva finalmente la fine di questo vagheggio struggente: “”vai pure””, che non è un abbandono né una liberazione, ma un lasciare andare la proiezione di un amore che non vogliono più nutrire
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Tommasina Giuliasi

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TRITTICO

Il trittico è un formato affascinante, cui siamo avvezzi per molte ragioni: è dal medioevo infatti che trittici di varia natura e vari materiali ci osservano dalla storia dell’arte, e ci affascinano col loro offrirci punti di vista differenti, ma anche con il proprio avvolgerci, utilizzandoci come ideale chiusura dello spazio aperto che il trittico definisce. Al contempo abbiamo adattato la struttura tripartita anche ad altri utilizzi, più prosaici forse ma non meno importanti, quali ad esempio le specchiere per il trucco, in cui ancora una volta ci immergiamo per osservarci da ogni lato. Siamo così passati dallo spirituale all’estetico, ma in ogni caso indaghiamo, osservandole da più prospettive, le nostre anime e i nostri volti, in una sorta di approfondimento del sé che può essere interiore e esteriore.
Il trittico però può essere anche interpretato come una sequenza logica o temporale, non necessariamente sincrona, quindi indagine che non si svolge solo in estensione, ma anche in maniera verticale seguendo il filo del discorso o il succedersi cadenzato degli eventi.
Per questo ci sembra affascinante l’idea di chiedere ai nostri artisti di utilizzare questo formato: tre immagini che raccontino, in estensione o in profondità, sincronicamente o diacronicamente una storia, unite dal filo rosso del formato e dalla potenza del numero, che ha affascinato l’uomo sin dai tempi di Pitagora – che lo definiva il numero perfetto, sintesi di uno e due, chiusura della cosiddetta triade ermetica.