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Andrea Antonelli

ARTISTA DEL GIORNO | 08.01.2024

<< I sogni sono inviati da un dio, ma sono plasmati dall’anima di ciascuno di coloro che li vedono: e il dio è l’orchestratore della loro natura, ma noi stessi siamo gli artefici del loro aspetto.”
Giamblico, Storie babilonesi

Cos’è Eldorado? Un’illusione. L’illusione che un luogo simile all’Eden potesse essere reale, il sogno di una città ricoperta d’oro dove l’uomo si crede un dio. Illusione, vanità, ricchezza, bellezza. Un mito, come la città di Atlantide, che proprio per la sua natura illusoria e fantastica può allora essere evocato e collocato ovunque. Quando immagino Eldorado, penso per prima cosa all’oro. Ad un luogo dorato, splendente, opulento. Immagino processioni di uomini, offerte a divinità crudeli e bellissime. La mia volontà era quella però di evocare le suggestioni legate ad antiche leggende, scenari esotici e iconografie mitologiche all’interno di uno scenario reale, realistico, contemporaneo, urbano. In questo caso, suburbano. Come fossero dei resti di un’antica città ritrovata sotto terra, ho ambientato Eldorado in una u-bahn di Berlino.
Eldorado è un sogno che era dentro di me da tanto tempo, ma erano stimoli e suggestioni che necessitavano di trovare una forma e una concretezza. E questa forma è stata modellata durante la mia permanenza a Berlino. Qui le immagini che avevo in testa di divinità simili alla dea Kalì, di templi dorati e di stanze orientaleggianti piene di odalische si sono fuse con la storia e con lo stile di Berlino. Si sono fuse con Klimt e con l’immaginario dell’Art Noveau, con il suo esoterismo e simbolismo. Ho immaginato una Luna circondata e venerata da emissari del Sole, e che queste scene si svolgessero in un luogo che fosse fantastico come la città di Eldorado ma allo stesso reale e tangibile. Ho cercato un legame e un dialogo tra i miti di un passato splendente e tra i cupi scenari urbani berlinesi, tra cultura orientale e occidentale, tra sogno e realtà. Per me Eldorado esiste, perchè l’ho sognato.
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Andrea Antonelli

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TRITTICO

Il trittico è un formato affascinante, cui siamo avvezzi per molte ragioni: è dal medioevo infatti che trittici di varia natura e vari materiali ci osservano dalla storia dell’arte, e ci affascinano col loro offrirci punti di vista differenti, ma anche con il proprio avvolgerci, utilizzandoci come ideale chiusura dello spazio aperto che il trittico definisce. Al contempo abbiamo adattato la struttura tripartita anche ad altri utilizzi, più prosaici forse ma non meno importanti, quali ad esempio le specchiere per il trucco, in cui ancora una volta ci immergiamo per osservarci da ogni lato. Siamo così passati dallo spirituale all’estetico, ma in ogni caso indaghiamo, osservandole da più prospettive, le nostre anime e i nostri volti, in una sorta di approfondimento del sé che può essere interiore e esteriore.
Il trittico però può essere anche interpretato come una sequenza logica o temporale, non necessariamente sincrona, quindi indagine che non si svolge solo in estensione, ma anche in maniera verticale seguendo il filo del discorso o il succedersi cadenzato degli eventi.
Per questo ci sembra affascinante l’idea di chiedere ai nostri artisti di utilizzare questo formato: tre immagini che raccontino, in estensione o in profondità, sincronicamente o diacronicamente una storia, unite dal filo rosso del formato e dalla potenza del numero, che ha affascinato l’uomo sin dai tempi di Pitagora – che lo definiva il numero perfetto, sintesi di uno e due, chiusura della cosiddetta triade ermetica. 

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