0

Florian D’Angelo

ARTISTA DEL GIORNO | 29.01.2023

<< Il simbolo è qualsiasi elemento che evoca un’idea diversa da quella del suo immediato aspetto sensibile: nel senso filosofico è un punto di ricongiunzione tra l’elemento visibile e quello invisibile. Parafrasando Cassirer, si può dire che in ogni opera d’arte la materialità è completamente assorbita dalla funzione di significare, da essa emerge un contenuto spirituale che va oltre l’elemento sensibile. L’esistenza dell’immagine sorge solamente dal significato, dal senso che chi osserva le conferisce. Ogni forma simbolica produce così un suo proprio mondo di significati. Questo il senso dello sfondo bianco, che permette di concentrare l’attenzione sull’immagine e che si propone come spazio interpretativo. Difronte a queste immagini l’osservatore si pone come homo religiosus o come homo laicus. Nella sfera religiosa il simbolo tende a rifluire nel concetto di “mistero”, in contrapposizione a ciò che è profano. Il sacro si manifesta nello spazio e nel tempo e viene percepito dall’uomo che vi coglie la presenza di una realtà differente. L’oggetto sacro resta un oggetto (dei chiodi, una corona, una lancia) ma agli occhi dell’homo religiosus acquista una dimensione nuova: irrompe la realtà misteriosa e l’oggetto naturale viene rivestito di una dimensione sacrale. Il sacro dà all’uomo la possibilità di entrare in relazione col divino, attraverso il simbolo, che diventa strumento per vivere la propria esperienza del sacro. L’homo laicus, o se vogliamo non religioso, non coglie il movimento esterno verso il mistero, ma attraverso il simbolo dà senso alla propria esperienza umana. La precomprensione dell’oggetto che guida l’interpretazione dipende dai propri interessi, dalla propria cultura e si radica nella propria esperienza vissuta. Il rapporto di comprensione che lega l’interprete all’opera, diventa appropriazione: interpretando il soggetto interpreta anche se stesso. Ecco che ogni osservatore, religioso o no, grazie allo sfondo bianco, può leggere l’opera, interpretarla, dandole una dimensione semantica che acquista senso per lui stesso, in quel momento.>>

Florian D’Angelo

.

TRITTICO

Il trittico è un formato affascinante, cui siamo avvezzi per molte ragioni: è dal medioevo infatti che trittici di varia natura e vari materiali ci osservano dalla storia dell’arte, e ci affascinano col loro offrirci punti di vista differenti, ma anche con il proprio avvolgerci, utilizzandoci come ideale chiusura dello spazio aperto che il trittico definisce. Al contempo abbiamo adattato la struttura tripartita anche ad altri utilizzi, più prosaici forse ma non meno importanti, quali ad esempio le specchiere per il trucco, in cui ancora una volta ci immergiamo per osservarci da ogni lato. Siamo così passati dallo spirituale all’estetico, ma in ogni caso indaghiamo, osservandole da più prospettive, le nostre anime e i nostri volti, in una sorta di approfondimento del sé che può essere interiore e esteriore.
Il trittico però può essere anche interpretato come una sequenza logica o temporale, non necessariamente sincrona, quindi indagine che non si svolge solo in estensione, ma anche in maniera verticale seguendo il filo del discorso o il succedersi cadenzato degli eventi.
Per questo ci sembra affascinante l’idea di chiedere ai nostri artisti di utilizzare questo formato: tre immagini che raccontino, in estensione o in profondità, sincronicamente o diacronicamente una storia, unite dal filo rosso del formato e dalla potenza del numero, che ha affascinato l’uomo sin dai tempi di Pitagora – che lo definiva il numero perfetto, sintesi di uno e due, chiusura della cosiddetta triade ermetica. 

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.